Un singolare episodio di confronto interreligioso si è verificato a Trieste nei giorni
intorno a Ferragosto, presso lo stabilimento balneare Lanterna, noto anche come
“Pedolin”, dove esistono aree separate per uomini e donne. Alcune bagnanti di fede
islamica, che indossavano il costume che copre tutto il corpo tranne il viso, le
mani e i piedi, sono state invitate a uscire dall’acqua da altre donne che hanno addotto
motivi igienici e di decoro. La situazione è degenerata al punto da richiedere l’intervento
della sicurezza.
Tuttavia, la storia non finisce qui. Qualche giorno dopo, un gruppo di donne “non
musulmane” si è presentato allo stabilimento normalmente vestito e si è tuffato in mare
con cartelli che recitavano: “Inquina di più un vestito o una nave da crociera?”. Si è
trattato di un gesto di solidarietà verso le donne islamiche, vittime di una
discriminazione ingiustificata.
L’episodio ha suscitato polemiche anche fuori dalla spiaggia. Il sindaco di Trieste ha
espresso la sua solidarietà alle signore che hanno contestato l’atteggiamento delle
bagnanti musulmane, sostenendo che in un Paese musulmano una donna non potrebbe
indossare il bikini. Il vicepresidente dell’Associazione Culturale Islamica di Trieste ha
replicato che il problema non è il costume, ma il rispetto delle diversità.
Si tratta di un caso emblematico di come la convivenza tra culture diverse possa
generare conflitti, ma anche occasioni di dialogo e comprensione.