Nel 1991 Fadwa Tuqan, 74 anni, pubblica sul giornale israeliano Ittihad la poesia “I martiri dell’intifada”.
Hanno tracciato la rotta verso la vita
l’hanno intarsiata di corallo, di agata e di giovane forza
hanno innalzato i loro cuori
sui palmi di carbone, di brace e di pietra
E con questi hanno lapidato la bestia del cammino
Questo è il tempo di essere forti, sii forte
La loro voce è rimbombata alle orecchie del mondo
e il suo eco si è dispiegato fino ai confini del mondo
Questo è il tempo di essere forti
E loro sono diventati forti…
E sono morti in piedi
Illuminando il cammino
scintillanti come le stelle
baciando le labbra della vita.
Dal 1987, anno della prima intifada, Fadwa Tuqan, che era stata la poetessa del nostalgico amore e dell’elogio per i fratelli defunti, assunse una ferma e decisa posizione che la portò in prima linea contro le violenze subite dal suo popolo
Alla fine degli anni Ottanta Fadwa Tuqan è una poetessa conosciuta in tutto il mondo, anche per il suo stile
Fadwa, dopo il primo periodo in cui adottò uno stile classico secondo la qasida araba e influenzata dal fratello Ibrahim, noto poeta palestinese, si è cimentata in composizioni libere, subendo l’influenza della grande Nazik al-Malaika, madre del verso libero arabo: ne è testimonianza la raccolta Wagadtuha.
Fadwa come altri poeti liberi, rivendica una più ampia libertà del verso, sacrificando il “piacere” dell’ascoltatore ma forse non del lettore all’immediatezza e all’efficacia del messaggio poetico.
In conclusione, la Tuqan è un simbolo ed un riferimento letterario per la Palestina e più in generale per il mondo arabo, con particolare riferimento all’universo femminile.
La sua vita è stata un viaggio tortuoso e doloroso, come lei stessa ha raccontato nella autobiografia, A montanious journey.
Anche quando Fadwa, conquistata la libertà e conosciuto il vero volto dell’amore, ne assapora le gioie , queste sono sempre intrise di quella tristezza che è l’anima delle sue composizioni. Ne è la dimostrazione la poesia intitolata “Mi ha parlato una certa notte:
“Hai parlato dall’altra parte del filo;
io ero lontana,
vagavo nel mio orizzonte,
vagavo lontano e non c’era con me
che il terrore delle tenebre.
Nella mia casa sentivo il vuoto del deserto
E il silenzio di una terra senza vita,
ed ero sola.
Vivevo la mia vita senza attese
Senza slanci
Avevo chiuso il libro della nostalgia
E dei desideri degli anni;
E spento il mio cuore
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Ad ogni parola
Un fiore sbocciava nel mio cuore
e nasceva una stella.