Dall’inizio degli anni Novanta in vari Paesi (Iran, Marocco, Turchia e Malesia), le donne hanno cominciato a creare movimenti che hanno la finalità di ottenere libertà e diritti disconosciuti all’interno del mondo islamico.
Questi movimenti non si ispirano a esempi occidentali ma cercano nelle proprie radici, quindi all’interno della religione islamica, quei princípi di libertà e di uguaglianza che il Corano garantisce ma che sono stati travisati da una tradizione patriarcale che ha distorto e strumentalizzato la religione islamica stessa.
Quindi il “femminismo islamico” nel suo complesso è un movimento che intende garantire una corretta interpretazione del Corano; le donne vogliono mettere in evidenza la vita del profeta e quell’uguaglianza già da Lui predicata e messa in pratica dalla prima comunità di credenti.
Non vuole essere solo una critica alla lettura dei testi islamici, cui era stata data un’interpretazione misogina e maschilista, ma una possibilità per le donne di dare alle questioni di genere, soluzioni che siano sempre aderenti ai valori islamici.
L’affermarsi del femminismo islamico è sicuramente dovuto a una decisa opposizione ad atteggiamenti retrogradi; è una critica all’Occidente e un riaffermarsi della religione nell’ambito pubblico e privato. Nel suo libro Feminism and Islam Legal and Literary Perspectives (1994) la Saudita Mai Yamani ha ricordato come, a partire dalla fine degli anni Ottanta, si sia diffusa la consuetudine di leggere in gruppo il Corano e altri importanti testi della tradizione islamica; venivano cioè organizzate dalle donne, appartenenti a classi sociali elevate, lezioni di teologia alle quali venivano invitate parenti e amiche. Dagli incontri nelle abitazioni si è passati a incontri nelle moschee. In Egitto le donne si incontravano nelle moschee per studiare i testi sacri senza la mediazione degli uomini, con la guida di studiose formatasi presso prestigiosi centri islamici, come per esempio l’università del Cairo, Al-Azhar.
In Egitto il movimento ha cercato di far diventare le donne “mufti”, cioè giureconsulte in grado di fornire pareri religiosi e giuridici – fatwa – come risposta a quesiti di carattere religioso e sociale.
In realtà il termine “mufti” è solo maschile ma alcune studiose, tra cui Asma Lamrabet, sostengono che una delle prime persone a esercitare il ruolo di mufti fu una donna: Aisha, sposa del Profeta.
“Sono cresciuta in un ambiente patriarcale: mio nonno aveva due mogli e due famiglie, era impossibile per me non diventare femminista ma non volevo rinunciare alla mia religione. Il femminismo islamico mi permette di essere contro la poligamia e il patriarcato senza abbandonare la mia cultura”.
(Brano tratto da un’intervista della scrittrice Renata Pepicelli fatta a Barcellona e contenuta nel libro Femminismo islamico a pag. 47).
L’Iran è stato uno dei primi Paesi in cui il femminismo islamico si è sviluppato a seguito delle leggi imposte dalla Repubblica.
“Come molte donne iraniane ho fortemente appoggiato la rivoluzione del 1978-79 e ho creduto nel senso di giustizia dell’Islam: ma quando gli islamisti hanno preso il potere e hanno reso la shari’a (o piuttosto la sua interpretazione) legge dello stato, mi sono ritrovata cittadina di seconda classe. Ho capito allora che non avrebbe potuto esserci giustizia per me, in quanto donna musulmana, finché il patriarcato sarebbe stato giustificato e sostenuto in nome dell’Islam. Le interpretazioni predominanti della shari’a non riflettono i valori e i princípi che io ritengo siano il cuore della mia religione”. (Testimonianza contenuta a pag. 629 di un libro di Ziba Mir-Hosseini del 2006 e raccolta da Renata Pepicelli nel libro Femminismo islamico a pag. 48).
(fine prima parte)