Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 molte donne si sono trovate ad affrontare il problema che nell’opinione pubblica internazionale si era formata l’idea di un Islam violento e fanatico. Questa convinzione ha rappresentato un momento molto importante per lo sviluppo del femminismo islamico; le donne, sia quelle che vivevano nei Paesi musulmani sia quelle che vivevano in altri Paesi, così come pure alcuni uomini, hanno dovuto affrontare il problema e prendere una posizione nei confronti dell’Islam e combattere un Islam violento ed estremista affinché queste frange islamiste venissero emarginate a favore dell’affermazione della tolleranza, della pace e della giustizia che sono parte integrante della loro religione.
Secondo vari studiosi, tra cui Valentine Moghadam (2002), la prima a parlare di femminismo Islamico è stata un’antropologa di origini iraniane, Afsaneh Najmabadi quando nel 1994 in una conferenza a Londra (presso la Scuola di Studi Orientali e Africani – SOAS –) definì femminismo islamico l’impegno delle donne iraniane a sviluppare una discussione sulla promozione dei loro diritti all’interno del mondo islamico.
Spiegava come questo movimento si fosse sviluppato in Iran grazie a un gruppo di donne che orbitavano intorno alla rivista “ZANAN” (donne). La rivista fu fondata nel 1992 da Shehla Sharakat e trattava argomenti sociali (famiglia, matrimonio, divorzio, violenza domestica) e riportava vari contributi di studiosi dell’interpretazione del Corano, di esperti di questioni religiose, per la maggior parte donne ma anche uomini che si firmavano con uno pseudonimo femminile. La rivista è stata chiusa nel 2008 dalle autorità della repubblica iraniana con l’accusa di “presentare un’opinione negativa dell’Iran” e di “compromettere la salute psichica e mentale dei suoi lettori”.
Contemporaneamente al dibattito sviluppatosi in Iran il concetto di femminismo islamico ha cominciato a diffondersi anche in altri Paesi islamici. Molte teologhe e attiviste si oppongono all’uso di questo termine in quanto considerano il “femminismo” tipico della cultura occidentale e quindi di quei Paesi colonialisti che avevano cercato in ogni modo di influenzare la loro cultura. Molte rifiutano di accostare il femminismo al termine islamico in quanto ritengono che la loro sia una battaglia universale. L’iraniana Shirin Ebadi, per esempio, premio Nobel per la pace nel 2003, pur considerandosi sia musulmana sia femminista non vuole accostare il termine femminismo all’aggettivo “islamico” sostenendo che le sue battaglie per i diritti delle donne sono universali. In realtà secondo l’iraniana Nayereh Tohidi (2001-2002) una delle prime ad aver aderito al movimento femminista, molte donne non accettano questo accostamento considerando i due termini in contraddizione l’uno con l’altro, un ossimoro.
Negli ultimi anni è cresciuto il dibattito sul femminismo islamico, molte scuole musulmane considerano impensabile che l’Islam possa lottare per l’emancipazione della donna, considerando che nel Corano viene chiaramente espresso il concetto che le donne non possono godere degli stessi diritti dell’uomo nella famiglia e nelle società. Potremmo concludere che il femminismo islamico è un movimento verso il quale molte posizioni sono cambiate negli ultimi vent’anni come quella di Amina Wadud che all’inizio rifiutava di essere chiamata femminista islamica mentre in seguito ha assunto un atteggiamento molto più morbido verso questo termine, anche se lei preferiva definirsi una pro-feminist.
Dopo la prima conferenza internazionale sul femminismo islamico tenutasi a Barcellona dal 26 al 28 novembre 2005, la giornalista statunitense di origine indiana Asra Nomani ha dato voce all’iraniana, ma residente a Londra, Ziba Mir-Hosseini e alla malesiana Zainah Anwar, leader del gruppo “Sisters in Islam”, sostenendo che questo fosse un movimento di grande importanza per contrastare l’estremismo. Infatti, se per i musulmani conservatori era un insulto all’Islam, per i moderati era uno spunto di riflessione per riformare sia il pensiero sia la giurisprudenza islamici.
(fine seconda parte)