In un precedente articolo, prevalentemente dedicato alla figura dell’Avvocato Qasim Amin, ho iniziato a presentare alcune scrittrici femminili che, dall’inizio del 900, hanno trattato il tema dell’emancipazione femminile tenendo altresì importanti salotti letterari.
L’Egitto è sicuramente il primo Paese dove si manifesta il movimento femminista, che si estenderà a molti altri Paesi Islamici, sviluppando un movimento che si impegnerà per la libertà e l’affermazione dei diritti delle donne. Queste studiose approfondiranno la conoscenza del Corano e della vita del Profeta affermando come in realtà l’Islam non fosse originariamente una religione misogina: solo l’errata interpretazione aveva fatto sì che venisse nascosto il messaggio di giustizia di genere insito nel Corano e che l’Islam divenisse una religione interpretata dagli uomini a favore degli uomini.
Tra le più importanti rappresentanti di questo studio, chiamato “Processo di revisione”, ricordiamo la scrittrice marocchina Fatima Mernissi e le egiziane Huda Sharaarawi e Doria Shafik.
FATIMA MERNISSI
Il movimento femminista ha cominciato a diffondersi in Egitto, Siria e Libano all’inizio del XX secolo. L’obiettivo era di migliorare la vita delle donne, fino a quel momento in condizione di inferiorità. Ne sono state protagoniste Malak Hifni Nasif, Hind Nawfal, Fay Afaf Kanafani e, tra le più appassionate, Huda Shaarawi, Doria Shafik e Fatima Mernissi.
Fatima, oltre che come scrittrice e sociologa, si è distinta nel campo degli studi del Corano interessandosi alle sue molteplici versioni. A seguito di queste letture è giunta alla conclusione che Maometto era femminista e progressista per la sua epoca e che, al contrario, sono stati gli uomini a considerare la donna una creatura di seconda categoria. Per esempio, in un passo del Corano una donna si rifiutava di indossare il velo sostenendo che se Allah l’aveva creata così bella allora probabilmente non voleva che si nascondesse.
Questi concetti sono contenuti in alcune delle più note pubblicazioni della Mernissi: “Le donne del profeta”, “l’Harem e l’Occidente” e “Islam e democrazia”, che, in Marocco, sono state censurate per aver diffuso la teoria, appunto, che le sacre scritture erano state mal interpretate da uomini autoritari che propugnavano la misoginia facendosi scudo di argomenti religiosi manipolati.
Fatima nasce nel 1940 a Fez, città del Marocco settentrionale, durante il protettorato francese e trascorre la sua giovinezza nell’harem di famiglia, appartenente alla borghesia cittadina. Finiti gli studi in Marocco si trasferisce prima in Francia poi negli Stati Uniti dove, nel 1974, consegue un dottorato di ricerca in sociologia alla Brandeis University iniziando come scrisse più tardi, a interessarsi di “sacri confini, di silente regole inscritte nello spazio e nelle pratiche quotidiane, di visioni del mondo legittimate dai testi sacri dell’Islam” che davano forma a quelle relazioni di genere che prima di diventare l’oggetto delle sue riflessioni facevano parte del suo vissuto.
Nel libro “Beyond the Veil: Male-Female Dynamics in Modern Muslim Society” analizza i concetti di sessualità e famiglia, le relazioni tra uomini e donne e le dinamiche di controllo della sessualità femminile nella società musulmana, con particolare riferimento a quella marocchina.
Di ritorno dagli Stati Uniti inizia l’attività accademica all’Università Mohammed V di Rabat. Il suo lavoro muove anche da istanze critiche nei confronti dell’immaginario occidentale dell’harem costruito nel corso dei secoli da pittori e scrittori europei che hanno spogliato le donne del loro sapere, della loro parola e della loro capacità di agire, come ha evidenziato in “Scheherazade Goes West” e, soprattutto, in “l’Harem e l’Occidente” dove l’autrice distingue tra due tipi di harem: quello “domestico” e quello “imperiale”.
L’harem domestico, abolito dopo la Seconda Guerra Mondiale e che lei stessa definisce una sorta di moderna “famiglia allargata”, è una casa dove una o più coppie convivono insieme alle proprie famiglie, servitù e parenti e dove le donne godono di una relativa autonomia, pur essendo recluse e non potendo formare nuclei familiari separati. Gli harem imperiali invece, di origine bizantina e aboliti nel 1909, erano veri e propri centri di potere in cui le donne, concubine e schiave prelevate dai territori conquistati, subivano restrizioni alla loro libertà, essendo totalmente sottomesse alla volontà del sultano. È solo a questo harem, precisa Fatima, cui gli occidentali pensano, riducendo tale convivenza a uno stereotipo erotico-assolutista.
Benché l’emigrazione verso l’Europa, la Spagna e l’Italia non accennasse a diminuire, secondo la Mernissi in Marocco le donne avrebbero avuto maggiori possibilità di lavorare non essendo più così legate alla casa come in passato; potevano infatti vendere per strada cibo e vestiti, soprattutto i caftani tradizionali e moderni, la cui richiesta era in aumento.
Contrariamente a quanto in genere si creda, l’Islam garantisce libertà di scelta: indossare il velo oppure no, pregare nella Moschea ma celebrare anche feste con gli amici. Le spiagge di Rabat ne sono la dimostrazione: alcune donne nuotano in bikini, anche se castigato, altre in jeans, altre con una gonna lunga.
Fatima riponeva grandi speranze negli intellettuali occidentali poiché sosteneva che almeno loro non credono di appartenere all’unico, fantastico, infallibile sistema che tutti gli altri dovrebbero seguire.
Ma perché l’Islam fa ancora così paura agli Occidentali? Forse perché proietta all’esterno l’inconscio dell’Occidente?
Tratto da: “Scheherazade Goes West”, “l’Harem e l’Occidente” e “Beyond the Veil: Male-Female Dynamics in Modern Muslim Society” di Fatima Mernissi e dall’intervista raccolta nel settembre 2009 da Nina Zu Fürstenberg per “Reset”.
HUDA SHAARAWI: UNA FEMMINISTA NEL MONDO ARABO
Huda Shaarawi è una pioniera del femminismo egiziano di cui è considerata la madre fondatrice. Nasce al Cairo nel 1879 e a soli cinque anni perde il padre, il primo sostenitore del costituzionalismo egiziano, a tredici viene costretta a sposare suo cugino, molto più grande di lei, ma poco dopo le nozze torna a casa della madre dove studia con l’aiuto del fratello e di un’amica francese acquisendo così sia nozioni della cultura araba sia di quella francese. Scrive poesie nelle due lingue e impara a suonare il pianoforte. Dopo sette anni torna col marito e diventa madre di due figli.
Huda è ricordata e apprezzata per il suo grande impegno politico che comincia a profilarsi nel 1919 quando organizza una marcia di donne, comunque velate, per opporsi all’arresto e all’esilio di quattro capi della resistenza egiziana contro l’occupazione britannica. Questa è stata la prima di molte sue iniziative politiche rivoluzionarie. Nel 1923 accetta l’invito delle donne dell’Alleanza Internazionale per il Suffragio Femminile a partecipare alla conferenza di Roma. Al suo rientro al Cairo, mentre scende dal treno, si toglie il velo e viene subito imitata dalle donne che l’attendono. Un gesto rivoluzionario che fa scalpore e la convince a costituire la UFE (Unione Femminista Egiziana), una scuola, un asilo e un emporium dove le bambine possono imparare a cucire e a ricamare. Il suo straordinario spirito d’iniziativa a sostegno delle donne egiziane non si ferma qui.
Nel febbraio del 1925 fonda “L’Egyptienne”, rivista egiziana in lingua francese che si propone di creare un ponte tra Oriente e Occidente e garantire uno scambio pacifico e obiettivo di informazioni.
Tra le battaglie femministe promosse dall’UFE merita di essere menzionata quella per l’affidamento della tutela dei minori alla madre, in caso di divorzio e la legge che fissa a sedici anni l’età minima per il matrimonio.
Huda si fa promotrice della creazione di una banca gestita da egiziani, con capitale egiziano e trasforma la propria casa, detta La Maison de l’Egyptienne perché sul terrazzo sventola la bandiera egiziana, in un punto d’incontro per i più illustri e illuminati personaggi della scena culturale e politica mondiale.
Dal 1935 e fino alla morte, nel 1947, è vice Presidente dell’Alleanza Internazionale alle cui conferenze rappresenta i Paesi arabi e africani. Fonda una seconda rivista in lingua araba, “Al-Misria” rivolta alle donne del suo Paese.
I massacri da parte dei sionisti e degli inglesi ai danni della popolazione araba, cristiana e musulmana della Palestina la inducono a difendere il popolo palestinese alla conferenza dell’Alleanza Internazionale e ad appoggiare la nascita della Lega degli Stati arabi. Una politica giusta e trasparente è sempre stata la sua ragione di vita quindi quando viene annunciata la divisione della Palestina, cosa che sancisce, proprio in Terra Santa, che quel conflitto è insolubile, perde definitivamente ogni speranza di una pace universale e di lì a pochi giorni muore a causa di un infarto.
Tratto da un articolo di Sania Sharawi Lanfranchi, nipote di Huda Shaarawi
DORIA SHAFIK
Doria Shafik è stata una scrittrice, poetessa, giornalista e attivista del movimento femminista egiziano.
È nata nel 1908 a Mansura e ha trascorso i primi anni di vita in una famiglia non priva di contraddizioni che l’ha resa una bambina inquieta e vulnerabile. Il senso d’incertezza maturato nell’infanzia, e che l’ha accompagnata per tutta la vita, ha contribuito a sviluppare in lei una profonda comprensione dell’umanità.
All’età di 15 anni ha frequentato la scuola delle suore missionarie ad Alessandria d’Egitto, una città cosmopolita dove circolavano liberamente idee e notizie provenienti da tutto il mondo. In questo periodo viene a conoscenza del movimento femminista di Huda Shaarawi.
L’ammirazione per questa donna la spinge a incontrarla e grazie al suo aiuto ottiene una borsa di studio che le permette di proseguire la sua formazione a Parigi. Studia filosofia alla Sorbona, torna ad Alessandria e dopo un breve e infelice matrimonio con un giornalista egiziano, si risposa a Parigi nel 1937 con un cugino.
Nella capitale francese discute due tesi di laurea. “L’art pour l’art dans l’Egypte Antique” e “La femme et le droit religieux de l’Egypte contemporaine” che trattano argomenti che saranno sempre oggetto dei suoi studi e del suo impegno sociale. Doria cerca di dimostrare che un’interpretazione corretta dei versetti del Corano può liberare le donne, anziché limitarne la libertà.
Nel 1945 dirige una rivista in lingua francese, “La Femme Nouvelle”, ne pubblica una propria, “Bint al Nil” (La figlia del Nilo) e una dedicata ai bambini, “Al Katkout” (Il Pulcino).
Alla morte di Huda Shaarawi, alla fine del 1947, tiene un discorso commemorativo in cui esprime i punti fondamentali del pensiero della grande leader e che lei condivide senza riserve: “Ricordatevi di lei, perché il ricordo serve a rafforzare la fede nel movimento destinato a creare una società fiera e colta. Ricordatela fino a quando capirete il vostro debito nei suoi confronti. È vissuta per voi ed è morta per voi. Io mi accerterò che il nostro lutto ci serva a continuare quello che lei ha iniziato. Se le donne imparano a leggere e a scrivere, se vanno all’università, se lavorano nei campi, se vanno nei ristoranti e se un giorno entreranno in Parlamento, tutto ciò servirà a ricordarla molto meglio delle nostre lacrime e dei nostri lamenti per la sua morte”.
Per le due figlie avute nel 1942 Doria sognava un futuro di giustizia, partecipazione, responsabilità e libertà. Cosciente quindi di dover portare avanti le battaglie del movimento femminista, nel 1951 sostiene la necessità che le donne partecipino alle decisioni politiche, votino e ottengano le libertà individuali che gli permetterebbero di vivere in modo dignitoso.
Nel 1956 entra in vigore la nuova costituzione egiziana che riconosce alle donne il diritto di voto ma, di fatto, lo stato reprime tutte le organizzazioni femministe indipendenti, lasciando in tal modo una forte carenza di rappresentanza politica femminile.
Poiché la libertà di stampa e di parola diventano anatema, Doria si costringe all’ennesima, estrema protesta. Viene accusata di tradimento e messa agli arresti domiciliari. Abbandonata anche dalle sue compagne di lotta rimane reclusa nel suo appartamento e sceglie comunque la solitudine, nonostante il successivo nulla osta alla liberazione concessole dal Presidente Anwar El-Sadat.
Si dedica alla sua biografia e a volumi di poesie: “Les Larmes d’Isis” e “Avec Dante aux Enfers”. La scrittura le consente di sopravvivere all’isolamento e la fa sentire vicina a Dante in esilio, poeta da lei amato a tal punto che impara l’italiano per poter leggere La Divina Commedia. Come Dante si ritrova spesso nell’inferno dei propri ricordi feriti e si tortura temendo di aver sbagliato tutto. Muore nel 1975 in circostanze ancora da chiarire.
Se le donne egiziane hanno ottenuto il diritto di voto è stato anche grazie al sacrificio di questa donna bella, colta, raffinata, testarda e amante della giustizia, della verità e della libertà. Il potere della parola scritta ha trionfato anche per Doria.
Tratto da un articolo di Sania Sharawi Lanfranchi, nipote di Huda Shaarawi