Storia, politica, estetica
La questione del velo
La donna velata con il viso parzialmente o totalmente coperto, con il burka nero o colorato che vive nei Paesi mediorientali o in quelli occidentali nell’immaginario collettivo è tuttora una donna sottomessa alla religione, ai valori del Corano, ai voleri del mondo maschile.
In Occidente il corpo viene esibito, svelato, mostrato. Il senso del pudore è stato annullato dal desiderio di far vedere ciò che corrisponde ai nuovi canoni di bellezza destinati anch’essi a mutare di decennio in decennio. La donna velata nel mondo occidentale laico viene guardata con indifferenza, sospetto, compassione, timore e si potrebbero elencare molti altri sentimenti negativi. Il velo e le varie forme di copricapo appartengono anche alla storia del mondo femminile occidentale; spesso, infatti, si utilizzano per entrare in un museo o in una chiesa. Fino all’Ottocento coprirsi il capo era segno di distinzione sociale. Ma torniamo a noi e al velo. Cerchiamo di chiarire i principali aspetti che lo riguardano.
Nel dizionario di arabo classico la parola “hijab” ha il significato di tenda, schermo. Questo termine nel Corano è ripetuto sette volte (VII, 46; XVII, 45; XIX, 17; XXXIII, 53; XXXVIII, 32; XLI, 5; XLII, 51) ma non con il significato di copricapo, cioè quel velo indossato dalle donne musulmane che copre il capo il collo le orecchie e i capelli lasciando libero il viso, si parla invece di tenda come separazione dello spazio pubblico dal privato. È importante ricordare che la prima volta che il termine “hijab” viene utilizzato nel Corano fa riferimento alla Vergine Maria, la madre di Gesù, figura molto importante e rispettata nell’Islam. Maria viene descritta in attesa di un figlio e coperta da un velo.
QUANTI TIPI DI VELI CI SONO E QUALI SONO LE DIFFERENZE TRA LORO?
Il velo islamico, o più semplicemente velo, è un abito in uso tra le donne musulmane. Ne esistono diversi tipi, ciascuno fortemente legato all’area di appartenenza geografica della donna, riflettendone la cultura e l’aspetto puramente religioso:
- Hijab: normale foulard che copre i capelli e il collo della donna, lasciando scoperto il viso. Sebbene nel Corano la parola venga utilizzata in maniera generica, oggi è diffusa per indicare la copertura minima imposta dalla shari’a (legge islamica). Questa copertura prevede non solo che la donna veli il proprio capo (nascondendo fronte, orecchie, nuca e capelli) ma anche che indossi un vestito lungo e largo, in modo da celare le forme del corpo.
- Khimar: mantello che copre dalla testa in giù, alcuni modelli fin sotto i fianchi, altri fino alle caviglie; secondo la tradizione locale può avere un velo che copre anche il viso.
- Niqab: erroneamente confuso con il burqa, il niqab è il velo che copre il volto della donna e che può (nella maggior parte dei casi) lasciare scoperti gli occhi. Ne esistono di due tipi: quello saudita e quello yemenita. Il primo è un copricapo composto da uno, due o tre veli con una fascia che, passando dalla fronte, viene legata dietro la nuca. Il secondo è composto da due pezzi: un fazzoletto triangolare a coprire la fronte (come una bandana) e un altro rettangolare che copre da sotto gli occhi al mento.
- Burqa: per lo più azzurro, con una griglia all’altezza degli occhi, copre interamente il corpo della donna. Tecnicamente, assolve le funzioni del niqab e del khimar. È tipico dell’Afghanistan.
- Chador (Iran): generalmente nero, indica sia un velo sulla testa sia un mantello su tutto il corpo.
- Abaya: un abito che arriva fino alle caviglie, leggero ma spesso; lascia completamente scoperta la testa ma di solito viene indossato insieme a un velo.
A CHE ETÀ SI COMINCIA A INDOSSARE IL VELO?
L’età minima per portare il velo è, in genere, intorno ai 13 anni, mai prima dei 10. Costringere quindi bambine di 3 anni o poco più a indossarlo va considerata una manifestazione di estremismo religioso, mal tollerata dagli stessi musulmani che la giudicano una violazione dei diritti dell’infanzia e un ostacolo al gioco e a una sana crescita.
QUANDO NASCE IL VELO?
IERI E OGGI
l velo è un indumento antichissimo nato molto prima dell’avvento dell’Islam. Veniva usato in tutta l’area del Mediterraneo già dal IV secolo a.C. e fin dall’antichità era un elemento distintivo delle donne appartenenti alle classi agiate. Il velo, quindi, non nasce con l’Islam e questo spiega perché nel Cristianesimo la Vergine appare quasi sempre velata.
Le prime donne dell’Islam, le mogli di Maometto, erano anch’esse velate come segno di distinzione.
L’Islam, come tutte le religioni, ha predicato l’uguaglianza e la giustizia sociale, per questo le schiave, cui il velo era stato proibito fino a quel momento, poterono velarsi come le altre donne.
Oggi in Europa le donne musulmane velate sono considerate la minoranza e sono soggette a discriminazioni soprattutto nell’ambito lavorativo. Vengono infatti retribuite meno degli uomini. Inoltre, raramente si pensa che una donna velata possa appartenere a un’alta classe sociale né che abbia un elevato livello di istruzione.
DIFFERENZE TRA I VARI PAESI MUSULMANI
Nel XIX secolo il velo è stato al centro di un serrato confronto teologico e “politico” tra islamisti “tradizionalisti” e islamisti “moderati”. I primi sostenevano (e lo sostengono tuttora) che l’uso del velo è un precetto esplicitamente espresso nel Corano, il cui uso è stato messo in discussione dalle dominazioni coloniali; i secondi negano che il Corano lo imponga in termini inequivocabili e generalizzati e affermano che il suo impiego tragga origine da tradizioni precoraniche diffuse nei Paesi del Mediterraneo.
Agli inizi del Novecento il velo è caduto in disuso a causa probabilmente della crisi attraversata da numerosi Paesi islamici e, di conseguenza, dalla religione islamica. A partire dagli anni Settanta il riaffermarsi sulla scena politica internazionale di un forte attivismo dei Paesi islamici e il diffondersi dell’immigrazione da questi Paesi verso l’Occidente ha restituito vigore ai sostenitori dell’uso del velo.
Basti ricordare che in Iran la caduta dello Scià e l’imposizione del velo da parte del regime degli Ayatollah ha fatto di quest’ultimo un elemento con il quale le donne hanno anche inteso rapportarsi con il clima politico e religioso creatosi. La lunghezza, il colore, l’aderenza dimostravano l’osservanza dei precetti degli Ayatollah (velo nero, lungo, coprente e ampio) ovvero una più o meno esplicita manifestazione di insofferenza alle limitazioni imposte (è il caso di veli colorati, adagiati sui capelli talvolta lasciandone fuoriuscire alcune ciocche).
Di segno opposto quanto avvenuto all’inizio del 900 in Turchia con il presidente Ataturk. Il tentativo di bandire il velo dalle università e in generale di limitarne l’uso hanno causato reazioni contrarie che si sono spinte fino al punto di vedere studentesse indossare parrucche che di fatto svolgevano l’analoga funzione del velo ed esprimevano contestazione del regime.
Il velo, oltre che nei Paesi arabi e nei Paesi islamici (non arabi) che si affacciano sul Mediterraneo, si è diffuso anche nei territori di religione musulmana del Sahara meridionale, nel Pakistan, in India, nel Bangladesh e, più in generale, in tutti i Paesi asiatici a prevalente religione islamica.
Innumerevoli le fogge in cui viene declinato e che variano in base alla tradizione di ciascun Paese e al contesto in cui viene utilizzato: luoghi di culto, di lavoro, scuole ed eventi lieti, per esempio matrimoni.
Con il diffondersi (non senza difficoltà) del lavoro femminile il velo ha assunto fogge sempre più comode per garantire maggiore libertà di movimento.
IL VELO: SCELTA O IMPOSIZIONE?
Nel Corano il velo è citato in due versetti.
Il primo è il versetto 31 della Sura Annour XXIV che recita: “e alle credenti di gettarsi i veli (khumurihinna) dal loro capo sul seno e non mostrare i loro vezzi…”
Il Corano usa la parola Khumur, plurale di khimar, che indica un velo coprente. “Tafsir Al Jalalayn” il più autorevole libro di interpretazione del Corano definisce il khimar “Un velo che copre la testa, il collo e il seno”. Non c’è nessun riferimento al fatto che debba coprire il viso.
A sostegno di questa interpretazione la constatazione che Dio non costringe la donna a coprire il viso neppure in alcune circostanze in cui sono comunque imposte delle prescrizioni. Per esempio, in occasione delle cinque preghiere giornaliere obbligatorie per i fedeli e del pellegrinaggio alla Mecca (quest’ultimo compiuto senza separazione tra i due sessi) alle donne viene raccomandato di indossare abiti larghi e coprenti e di portare il velo ma di lasciare scoperti il viso e le mani.
L’attitudine di alcune musulmane di celare il viso e rendersi così irriconoscibili non si fonda su un obbligo divino ma è una scelta personale, una forma di estremismo religioso.
Le musulmane moderate si spingono fino ad asserire che l’obbligo del velo riguardava esclusivamente le mogli del Profeta, perché esse avevano una posizione molto più importante e delicata e dunque ci si aspettava da loro una maggiore dedizione.
A sostegno di questa interpretazione citano un versetto del Corano che recita: “31. O donne del profeta, non siate come una donna qualunque. Se siete timorate, non siate troppo alla mano nei vostri discorsi, sì da suscitare speranze nei cuori infermi: parlate in un modo corretto. 32. Restatevene in casa e non vi agghindiate al modo del passato Ignorantismo…” Sura Al ahazaab vers. 31.
A ben vedere, però, questo versetto è rivolto più che al velo all’obbligo di rimanere a casa del marito e di non uscire, cosa che, effettivamente, riguarda in modo esclusivo le mogli del Profeta.
Il versetto sul velo rivolto alle mogli del Profeta è il seguente: “O profeta di’ alle tue mogli e figlie e alle donne dei credenti di calarsi addosso i loro mantelli: ciò giova a farle distinguere e ad evitare che sia data loro noia …” Sura Al ahzaab vers. 58.
Il secondo versetto non menziona affatto le mogli del Profeta ma parla delle donne dei credenti in genere: “E alle credenti di’ di abbassare lo sguardo e di sorvegliare i loro sensi …, e di gettarsi i veli dal capo sul seno e di non mostrare i loro vezzi …” Sura Annour XXIV vers. 31.
Sembra dunque lecito concludere che, secondo il Corano, il velo non è un’esclusiva delle mogli del Profeta, ma è un obbligo per tutte le musulmane.
L’ETÀ GIUSTA PER INDOSSARE IL VELO
I precetti religiosi nell’Islam sono rivolti agli adulti. È infatti essenziale che il fedele, quando ottempera all’obbligo divino, sia consapevole e cosciente dell’atto che compie e della sua importanza.
Per tale ragione l’obbligo del velo non si applica alle bambine ma alle donne mature. Tale condizione vale per tutti gli altri obblighi, quali la preghiera, il digiuno ecc.
La maturità per l’Islam va intesa come maturità sessuale, che segna il risveglio dei sensi.
IL PUNTO DI VISTA SUL VELO: DONNE OSSERVANTI E DONNE MENO OSSERVANTI O EMANCIPATE
Nei paesi islamici più tradizionalisti o in aree ancora fortemente legate alla tradizione molte donne sono costrette dagli uomini di famiglia a portare il velo e possono subire violenza se si rifiutano di farlo.
Se aggiungiamo poi che indossare il velo a volte non significa solo coprirsi viso e capelli ma implica la sottomissione a tutta una serie di comportamenti e divieti, la questione diventa ancora più pesante. La donna è tenuta ad abbassare lo sguardo, a parlare a voce bassa, a non ridere in pubblico perché la sua voce è considerata “awrah” (una vergogna), a camminare a testa bassa e a non parlare se non è necessario. Sono obblighi oppressivi che riducono all’inattività e alla passività.
Tutto ciò aumenta nella donna emancipata la sensazione che il velo sia simbolo di sottomissione e riconoscimento del potere maschile, anzi che tutto il complesso di norme e obblighi abbia come obbiettivo solo il soddisfacimento dell’egoismo maschile.
Per non parlare poi del colore prescelto per il velo. Come abbiamo visto nessun versetto coranico impone il colore nero, inteso come simbolo di discrezione e segnale che non si vuole attirare l’attenzione. Il nero nella cultura araba è il colore del lutto e della rinuncia alle gioie della vita.
La donna emancipata costretta al silenzio o quasi e coperta di nero si sentirebbe trasformata in un’ombra. Nulla di più.
Certo si sollevano voci di protesta contro il velo ma risultano sempre deboli dinanzi all’intimidazione delle donne osservanti e al maschilismo che impera nella società araba islamica.
Nel corso degli ultimi dieci anni il numero delle donne che portano il velo è notevolmente aumentato e questo dimostra un ritorno all’estremismo religioso, oggi imperante.
Fonte: fivedabliu.it
Lara Manni, aprile 2018
DOVE È PROIBITO INDOSSARLO
Negli ultimi trent’anni si è discusso molto sull’uso del velo islamico, provocando accesi dibattiti sia in Italia sia in altri Paesi europei. In società multiculturali come quelle odierne promuovere un dibattito oggettivo su questa pratica appare di fondamentale importanza sia per tutelare i diritti delle donne musulmane sia per favorire una maggiore uguaglianza tra i sessi.
A partire dal 1989 quando tre ragazze marocchine furono espulse da una scuola del nord della Francia per aver indossato l’hijab, la controversia sul diritto delle donne musulmane di indossare il velo islamico è andata via via aumentando. Attualmente, in Europa sono in atto limitazioni sull’uso del velo in Francia, Danimarca, Austria, Bulgaria, Belgio e Paesi Bassi e in molti altri Paesi europei, tra cui Italia, Svizzera e Norvegia, si sta discutendo di una sua possibile introduzione. Sempre più politici e media nazionali associano il velo all’integralismo islamico, dipingendo le donne musulmane sia come oppresse, prive di una qualunque volontà individuale, sia come agenti del terrorismo, ignorando così i molteplici significati del velo islamico e compromettendo ulteriormente i diritti delle donne.
In realtà le leggi che limitano l’uso del velo, vigenti in molti Paesi europei con l’obiettivo di emancipare le donne musulmane, producono l’effetto contrario, minano cioè i loro diritti, il che è sintomatico di una cultura occidentale che non è ancora riuscita a fare i conti con il proprio passato coloniale.
L’INFLUENZA DEL DISCORSO NEO-COLONIALE
In un mondo post 11 settembre la crescente paura del fondamentalismo islamico ha rafforzato lo “scontro di civiltà”, accrescendo ulteriormente la paura per tutto ciò che ricorda l’Islam, velo incluso.
La rivoluzione iraniana, le guerre del Golfo e i conflitti mediorientali hanno incrementato il sostegno verso coloro che vedono nell’Islam una minaccia ai valori occidentali. Dopo gli attacchi alle Torri Gemelle numerosi Paesi occidentali hanno infatti rafforzato le misure di sicurezza discriminando soprattutto gli immigrati di religione musulmana, uomini e donne, e considerando l’Islam un nemico contro cui combattere. In questo contesto s’inserisce “la questione del velo islamico” che rientra nel più ampio dibattito sul multiculturalismo e sulla necessità, secondo alcuni, di promuovere politiche maggiormente inclusive. Questi ultimi, paradossalmente, rappresentano le donne musulmane sia come terroriste che minacciano i valori della democrazia liberale sia come vittime, sottoposte al sistema patriarcale tipico dell’Islam.
I media francesi definiscono il velo “come simbolico della dicotomia di genere che si sta rafforzando tra le donne occidentali liberate e le loro sorelle musulmane oppresse” (Freedman 2007: 30).
Gli Stati dove oggi è obbligatorio indossare il velo sono: Iran (anche per le donne straniere) Afghanistan e Arabia Saudita dove è consigliabile che anche le donne straniere utilizzino un copricapo.