La famiglia nel mondo islamico ha un’articolazione molto vasta e non è facile parlarne in generale (si pensi, per esempio, alle differenze di costumi tra musulmani indiani e musulmani turchi).
Nel Corano non è menzionato il bambino se non come categoria giuridica (per es., erede, orfano ecc.).
La madre (che educa il figlio maschio fino ai 7 anni) gli insegna il complesso modo di stare in società, tipico del mondo musulmano e come rivolgersi ai più anziani. Nel gineceo il bambino è protetto, non ha alcuna responsabilità e sono bandite punizioni e divieti.
Nell’immaginario maschile musulmano il mondo delle donne rimarrà immutato anche in età adulta, come immutata si manterrà la nostalgia per questo mondo ideale.
Dopo i sette anni il figlio maschio potrà accedere al mondo paterno.
Tale accesso segnerà la “perdita” dell’innocenza infantile: tappa fondamentale è la circoncisione e il ragazzo non avrà più il diritto di frequentare i luoghi femminili, specialmente l’hammam, diventando responsabile sia sul piano religioso sia morale; comprenderà la necessità dei divieti e prenderà confidenza con la forza, la competizione e il conflitto. Imparerà infine a sviluppare l’orientamento religioso dei figli.
Le bambine rimangono più a lungo nella sfera materna: l’accesso al mondo maschile (per es., scuola, lavoro ecc.) è recente e ancora sostanzialmente eccezionale; la bambina cresce imparando molto presto il ruolo di moglie e madre. Finalità principale dell’educazione è preservarne la purezza.
Il padre ha il dovere di mantenere i figli.
Le donne musulmane, pur iniziando in alcuni Paesi a intraprendere attività “extrafamiliari”, non vengono tuttavia mai esonerate dal ruolo prevalente di madri.
Il matrimonio è un passo cruciale nella vita di un giovane e la nascita di un figlio gli conferisce lo status di adulto.
Tradizionalmente le famiglie islamiche sono molto numerose: questo aspetto non è mai cambiato, nemmeno a fronte di variazioni nelle condizioni culturali, economiche, demografiche.