Al Fine Arts Museums di San Francisco, da settembre a gennaio 2019, ha avuto luogo la Contemporary Muslim Fashions, la prima esposizione museale di moda islamica, la “moda modesta”, così definita non certo in riferimento al valore dei capi, che viceversa sono spesso sfarzosi ma perché ispirata ai morigerati precetti religiosi che impongono che il corpo femminile sia coperto.
La mostra è stata ideata da Hariri & Hariri Architecture di New York, da Jill D’Alessandro, direttrice di una sezione del Museo di Belle Arti di San Francisco, e da Laura Camerlengo insieme a Reina Lewis del London College of Fashion.
Per meglio inquadrare la “moda modesta” e la sua crescente importanza sia economica sia come fatto di costume, occorre tener presente che l’Islam è praticato in Paesi con culture e tradizioni diverse; da quelli arabi all’Indonesia con una crescente diffusione anche nei Paesi occidentali. Pertanto, la “moda modesta” è influenzata, oltreché dai precetti religiosi, dagli usi e dai costumi locali e risente comunque anche delle tendenze del momento della moda internazionale.
Non è quindi un caso che le sezioni della mostra siano state suddivise per aree geografiche, spaziando dal lusso, allo streetwear e alla haute couture.
Nella parte dedicata ai Paesi arabi del Medio Oriente, e in particolare agli Emirati Arabi Uniti (Dubai), Arabia Saudita e Kuwait, sono stati esposti anche chador e fyunka. La tradizionale ricchezza di tessuti e colori del Sud-est asiatico (l’Indonesia è il Paese con il maggior numero di musulmani al mondo: circa 200 milioni su una popolazione di 270 milioni di persone) ha caratterizzato la “moda pudica” di quei Paesi, come dimostrano i capi lussuosi dai colori vivaci e dalla complessa artigianalità di stilisti come Itang Yunasz, Dian Pelangi e Bernard Chandran.
Di particolare interesse la sezione che ha ospitato le creazioni dei numerosi couturier musulmani che lavorano stabilmente negli Stati Uniti e nel Regno Unito; basti citare Céline Semaan Vernon di Slow Factory e Saiqa Majeed di Saiqa London. Il lavoro di questi stilisti dimostra, allo stesso tempo, il rispetto della propria religione e l’influenza subíta dai Paesi occidentali.
Non sono mancate, infine, le creazioni delle grandi maison e di stilisti affermati come Yves Saint Laurent e Faiza Bouguessa.
La crescente importanza economica della “moda musulmana”, non più riservata alle relativamente poche donne che dispongono di ricchezze smisurate, ha trovato testimonianza nella sezione dedicata al fast fashion con disegni di Sarah Elenany e Barjis Chohan.
Di particolare interesse, oltre agli aspetti strettamente legati alla moda, è stata la sezione fotografica con immagini di Hengameh Golestan dedicate alle manifestazioni femminili in Iran del 1979 contro l’imposizione del velo.
L’esposizione è stata possibile grazie, sia a capi prestati da privati sia a quelli dei marchi più famosi, come il primo hijab sportivo professionale della Nike. Tra le opere d’arte va senz’altro menzionato il poster “Greater Than Fear” dell’artista Shepard Fairey che raffigura una donna con velo a stelle e strisce, sottolineando come la moda possa addirittura diventare strumento di contestazione politica.
“C’è chi crede che non ci sia alcuna moda tra le donne musulmane, ma è vero il contrario, con comunità di moda moderne, vivaci e straordinarie, in particolare in molti Paesi a maggioranza musulmana”, ha affermato Max Hollein, direttore e CEO del Museo delle Belle Arti di San Francisco.
Attualmente le settimane della “moda modesta” hanno luogo in tutto il mondo e con sempre maggiore frequenza dando spazio all’interno della comunità islamica a designer affermati ed emergenti, non solo di origini musulmane, e a quelli occidentali che propongono stili che espongono meno il corpo. Si può oggi affermare che vestirsi con sobrietà, dando meno enfasi alla nudità, trovi il favore non solo delle donne musulmane e stia dando vita a una maggiore consapevolezza della propria cultura sradicando i pregiudizi nei confronti del mondo musulmano, che è molto più complesso di quanto emerge dalle cronache di alcune realtà tragiche ma pur sempre circoscritte.
A conferma che questo è vero anche nel settore della moda, sono state esposte diverse forme di copricapo, l’abaya, il burka, l’headwrap, l’hijab e il turbante, assieme a recenti creazioni che, nate quasi per caso, hanno riscosso un inatteso successo, come il burkini.
Le sfilate di “moda modesta” sono visibili online e su riviste di moda e lifestyle come per esempio “Ala”, magazine turco sul costume musulmano, “Alef”, rivista di lifestyle di lusso fondata in Kuwait e “Vogue Arabia”.