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Qasim Amin

Il ruolo della donna e l’idea di emancipazione nel mondo islamico. Cosa possiamo dire a riguardo.

Negli anni 1870-90 inizia a prendere forma il dibattito sull’emancipazione della donna, il cui contributo è considerato indispensabile per lo sviluppo e la modernizzazione dell’Egitto.

Il primo a occuparsi di emancipazione femminile e ad aver preso una posizione pubblica per cercare di modificare il ruolo della donna all’interno della società, fu l’intellettuale egiziano QASIM AMIN (1863-1908): nato al Cairo, laureato in giurisprudenza, la sua formazione avvenne in occidente, soprattutto a Parigi.

Tra i suoi scritti ricordiamo: “The Liberation of women”, 1899 che è considerato il primo grande testo femminista del mondo arabo e “Women and the veil”, scritto nel 1900, con il quale intende chiarire, in risposta alle critiche ricevute, che l’emancipazione della donna araba poteva avvenire anche all’interno della cultura islamica e non solo assumendo valori occidentali.

Qasim Amin attraverso i suoi scritti criticò la poligamia, finalizzata esclusivamente al piacere sessuale, mentre essa era stata prevista (o meglio, tollerato) dal profeta per far fronte alle difficoltà delle prime comunità islamiche: essa era infatti funzionale per assistenza a orfani e vedove. Qasim Amin esortava altresì all’abolizione del velo, ostacolo per l’emancipazione della donna e quindi anche per il progresso del Paese; sosteneva che alle donne dovesse essere garantito un adeguato livello di istruzione (in Egitto la prima scuola pubblica per ragazze fu aperta nel 1873, anche se vi erano scuole femminili private frequentate solo da giovani dell’alta borghesia; nel 1929 un ristretto numero di studentesse si iscrisse all’università del Cairo).

Dopo l’uscita del suo primo libro “The Liberation of women”, Amin venne molto criticato in Egitto sia dalle correnti maschili più tradizionaliste sia da molte studiose e letterate donne che lo considerarono troppo pervaso da elementi occidentali.

Amin è stato accusato, dalla scrittrice Leila Ahmed, di voler sostituire lo status maschile di tipo islamico con quello di tipo occidentale. Ahmed sottolinea che la donna egiziana di Amin, non avrebbe il controllo sul proprio corpo, ma sarebbe invece utilizzata per costruire la nazione.
La donna egiziana sarebbe ancora la schiava di suo marito, della sua famiglia e della sua nazione e dunque si tratterebbe di una forma ipocrita di emancipazione.
La professoressa di storia Mona Russell, sfida ulteriormente la descrizione di Amin della nuova donna dicendo che era “uno dei frutti della società moderna”; sostiene che Amin è stato influenzato dalla sua educazione straniera e dalla posizione della classe medio-alta che considerava il colonialismo straniero come una regola superiore; sostiene inoltre che Amin si è integrato nel colonialismo straniero che deteneva il potere dell’Egitto e cita a dimostrazione l’affermazione di Amin secondo la quale: “Oggi godiamo di una giustizia e di una libertà come non credo che l’Egitto abbia mai visto in passato”.

Citazioni

In conclusione, tuttavia, possiamo affermare che Qasim Amin ha concretamente contribuito alla nascita del “femminismo Islamico”: non a caso a metà del 900 assistiamo alla nascita di un movimento che vede donne musulmane, arabe e non, rivendicare l’uguaglianza di genere a partire dalla reinterpretazione dei testi sacri.

A tale riguardo non si può non ricordare FATIMA MERNISSI, (1940-2015): Fatima è stata una scrittrice e una delle femministe più attive in Marocco. Laureata in Scienze Politiche e Dottoressa in Sociologia, è riconosciuta come un’autorità mondiale nel campo degli studi coranici.

Dopo aver studiato il Corano in differenti versioni testuali, Fatima sostenne l’idea che Maometto fosse un femminista e un progressista per la sua epoca. Inoltre, riteneva che fossero stati altri uomini, non Maometto quindi, a iniziare a considerare la donna come un essere di seconda categoria. La sua opera è stata censurata in Marocco per aver dichiarato che le sacre scritture erano state mal interpretate da uomini autoritari.

Ricordiamo anche HODA SHA’RAWI che fondò l’unione femminista egiziana, e DURIYA SHAFIQ (1908-1975): quest’ultima fu attivista, giornalista, docente ed editrice; ha fondato riviste presso l’Università del Cairo e alla Sorbona di Parigi.

Duriya difendeva il laicismo e la democrazia sostenendo che l’Islam parla di uguaglianza e non impone né il velo né la reclusione. A lei si deve anche la fondazione di un’associazione femminista con il fine di promuovere l’alfabetizzazione e i diritti politici delle donne, ed è nota soprattutto per aver istituito uno sciopero della fame che è stato determinante per promuovere la modifica della costituzione egiziana ed estendere i diritti politici alle donne.

È stata quindi la tradizione maschilista dei secoli successivi alla predicazione di Maometto, afferma Duriya, a permettere che venissero tramandati hadith (detti del profeta) spuri che avallano interpretazioni misogine del Corano e della vita del Profeta.

Molte scrittrici e studiose hanno dedicato gran parte del loro tempo all’analisi di diversi modelli femminili allo scopo di dimostrare quanto la letteratura religiosa fosse ricca di esempi di donne che, alla luce della nostra modernità, sarebbero femministe d’avanguardia. Il lavoro, di importanza fondamentale fatto dalle donne che crearono i movimenti femministi, fu proprio quello della REVISIONE: la rilettura del Corano mostra che il messaggio religioso sia tutt’altro che misogino, ma dal loro punto di vista sono state le cattive interpretazioni, realizzate da élite maschiliste, ad affermare la sottomissione e l’inferiorità femminile tradendo il messaggio islamico e l’insegnamento del Profeta.

Tornerò su questi argomenti in un nuovo capitolo.